Dalla violenza, alle battle a "colpi" di break dance
L'hip hop nasce quindi come espressione della cultura di strada del South Bronx, quartiere di New York caratterizzato da una dura quotidianità fatta di violenza, droga e criminalità. L'abbondante presenza di palazzi abbattuti o abbandonati nella zona, era una conseguenza del progetto di ricostruzione autostradale realizzato in quegli anni, che avrebbe permesso ai veicoli provenienti da Manhattan (l'area ricca della Grande Mela) di uscire rapidamente dalla città passando sopra agli edifici della zona povera senza doverla attraversare. In questo contesto di degradazione urbana, bande di ragazzini pieni di immaginazione, ma a corto di soldi, iniziano a forgiare un nuovo stile che stravolgerà completamente il concetto d'arte riportandolo, per certi versi, alla sua più originale purezza.
Dalla musica alla danza, dalla pittura alla vita vera e propria, l'arte viene concepita come creazione spontanea e dirompente ovunque e comunque, al di fuori dell'ambito commerciale. Dipingere illegalmente graffiti su di un vecchio muro significa crearsi un proprio codice di autoregolamentazione e rinnegare il sistema d'arte convenzionale, in quanto si produce un'opera non vendibile, accessibile a tutti, e anonima per gli esterni. Proprio per le circostanze di illegalità che circondano il disegno, il nome nella firma viene sostituito con uno pseudonimo, chiamato "tag", che talvolta compone il graffito stesso. I creatori della nuova cultura si definiscono "b-boys" (termine ora utilizzato per i seguaci della breakdance), e cioè i ragazzi del Bronx, ma anche i "black boys", i "bad boys" e i "breaker-boys" o "boogie-boys" - coloro che ballano ai block party (feste di strada); le ragazze vengono invece chiamate "fly-girls" o "b-girls". Le quattro espressioni artistiche maggiormente sviluppate in questo nuovo contesto culturale sono: il rap, le composizioni musicali del deejay, il graffitismo e la break-dance.
La breakdance è un tipo di danza che viene esibita per strada e si caratterizza per le rotazioni sulle ginocchia, sulla schiena o addirittura sulla testa, per le mosse frammentate, i passi acrobatici ma, soprattutto, per il contatto con il suolo, che dà vita a movimenti mai studiati fino ad allora nella storia della danza occidentale. Negli anni '80 la break-dance viene inserita nei programmi del Black Power Movement, per risolvere il problema della violenza tra bande rivali: la supremazia su di un territorio non sarà più determinata attraverso cruente risse, che spesso finiscono in tragedie, ma da sfide di break, durante le quali la banda che dimostra maggiori abilità tecniche e acrobatiche vince.
Cogliere il concetto di sfida significa comprendere l'essenza stessa dell'hip hop: in un periodo in cui la violenza di strada miete la vita di troppi ragazzi di colore, la danza, ma anche la pittura, la musica e il rap creano un nuovo spazio in cui definire la gerarchia di potere del ghetto. Una parola-chiave della cultura hip hop è proprio "battle", che indica la competizione pacifica tra ballerini, artisti aerosol, deejays o rappers. La sfida, soprattutto quella musicale, si lega al concetto di "freestyle", e cioè la capacità di improvvisare riguardo a situazioni che si stanno verificando nello stesso momento: i criteri di valutazione si baseranno, tra le altre cose, sulla velocità di pensiero e d'azione degli sfidanti.
Il rapper, ossia colui che canta o recita velocemente un testo in slang ("to rap" in americano gergale significa "chiacchierare"), si rivolge alla propria comunità e rivendica per sé il ruolo di suo portavoce: a questo scopo ecco il perché il frequente inframezzare nelle rime del proprio nome d'arte, per lasciarlo ben impresso negli ascoltatori. Ritmare per strada, o comunque pubblicamente, canzoni che parlano della realtà propria e della comunità d'appartenenza significa, tra le altre cose, creare quello spazio di denuncia e di libertà d'espressione spesso negato dai mass media. Non a caso il rap viene definito da Chuck D, leader dei Public Enemy, come la CNN del popolo nero, in quanto racconta, senza alcun filtro, la più dura realtà dei ghetti americani, argomento tendenzialmente rimosso dagli organi d'informazione ufficiale.
Come stile musicale, il rap consiste nell'interazione del rapper su pezzi di brani manipolati da un deejay, che blocca e rilascia manualmente il disco: proprio nel contesto socio-culturale dell'hip hop ha luogo la grande rivoluzione delle tecniche del deejay. Kool Herc è il primo a esibire sui piatti due dischi uguali, potendo così estendere lo stesso ritmo indefinitamente e a proprio piacimento. Afrika Bambaataa figura tra i primissimi deejays a usare lo "scratching", tecnica inventata casualmente da DJ Grand Wizard Theodore, che consiste nel tipico suono del disco graffiato, presente tutt'oggi in numerosi brani non solo di musica hip hop.
Parallelamente al deejay si sviluppa anche la figura del Mc, ovvero il "Master of Ceremony" (maestro di cerimonia), ovvero colui che, durante i party, parla negli intermezzi musicali o canta, solitamente in rima, ciò che vede e che sente: i rappers prenderanno presto l'abitudine di chiamare se stessi Mc, rendendo praticamente inesistente la differenza tra i due ruoli. Avvenendo al di fuori del circuito commerciale, spesso le performance non vengono registrate professionalmente, ma su cassette in modo amatoriale. I duplicati di queste feste raggiungono ben presto tutto il Bronx, Brooklyn e Uptown Manhattan, diffondendo il nuovo stile musicale dei deejay e dei rappers. Ma l'attenzione dei media e delle grandi etichette arriva solo nel 1979, dopo l'enorme successo di Grandmaster Flash con "King Tim III" e dei Sugarhill Gang con "Rapper's Delight".